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Maria Mariotti racconta monsignor Lanza: l’Azione Cattolica come vocazione del laicato

In occasione del 75° anniversario della morte di monsignor Antonio Lanza, Avvenire di Calabria, in collaborazione con il MEIC, ripropone ai lettori alcuni contributi storici che ne testimoniano la figura e l’eredità spirituale. Il secondo testo, che presentiamo oggi, è firmato da Maria Mariotti ed è apparso sul supplemento di Avvenire di Calabria il 27 settembre 1960.

Un anniversario per riscoprire la voce di un pastore del Sud

Nel solco delle iniziative promosse dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dalla Conferenza episcopale calabra, dalla Fuci e dall’Istituto “Antonio Lanza” per il 75° anniversario della morte dell’arcivescovo reggino, Avvenire di Calabria continua il percorso di riscoperta del pensiero e del magistero di monsignor Antonio Lanza. Dopo il discorso commemorativo del cardinale Giuseppe Siri e il testo In actione contemplativus di monsignor Domenico Farias, pubblicati nei giorni scorsi, proponiamo ora il terzo e ultimo contributo previsto.

Si tratta dell’articolo L’Azione Cattolica a servizio della Chiesa nel pensiero e nell’opera di Mons. Lanza, firmato da Maria Mariotti e apparso a pagina 17 del supplemento di Avvenire di Calabria del 27 settembre 1960.

Una rilettura attenta della vocazione laicale e della missione ecclesiale

Il testo della Mariotti offre una lettura rigorosa e appassionata dell’impegno profuso da monsignor Lanza per l’Azione Cattolica, ripercorrendone tanto l’evoluzione storica quanto l’interpretazione teologica e pastorale che ne fece il presule reggino.

Ne emerge una figura di vescovo profondamente consapevole del ruolo del laicato nella vita della Chiesa, capace di coniugare fedeltà al magistero e apertura alle sfide del tempo, in una visione dinamica e profetica dell’apostolato cattolico.

Un ricordo di Maria Mariotti: “Monsignor Lanza e l’Azione Cattolica”

Si può affermare senza esagerazione che l’interessamento per l’Azione Cattolica sia stato una delle costanti più fondamentali e feconde del sacerdozio di Mons. Lanza non solo per l’assistenza ad essa offerta attraverso il ministero e l’insegnamento. Non è superfluo ricordare che, oltre le innumerevoli prestazioni occasionali, Egli ne assunse in vari tempi il compito di Assistente dapprima Assistente diocesano delle Donne e della Gioventù Femminile a Catanzaro e Maestra di propaganda nazionale delle due Associazioni, poi Assistente del Gruppo romano e vice-assistente centrale dei Laureati, infine Assistente dei Laureati a Reggio; ma anche per la valutazione dell’A.C. che Egli, come studioso di teologia e diritto, come Vescovo, come membro della Commissione Episcopale per l’alta direzione dell’A.C., seppe ben modo di elaborare e sperimentare in teoria e in pratica (basti il riferimento al grande impulso dato durante l’Episcopato all’A.C. tutta, sia in sé in regione, al suo efficiente contributo per l’azione degli statuti promulgati nell’ottobre 1946 ed al notevole prestigio in seno alla Commissione Episcopale).

Sebbene la prevalenza dei doveri di insegnamento e di ricerca scientifica prima, di cura pastorale poi, non gli abbia mai consentito di accettare ripetute proposte di assumere l’incarico di assistente centrale in qualche associazione o nell’intera A.C., si può dire che dal 1930 al 1950, e specialmente nella delicatissima svolta dell’immediato dopoguerra, nessun aspetto o fase del travaglio strutturale e spirituale dell’Azione Cattolica Italiana sia sfuggito al parere, al consiglio, al contributo diretto o indiretto, al deciso incoraggiamento o alla riserva critica di Mons. Lanza. Impegno questo da lui considerato non marginale e secondario, sebbene tante altre preoccupazioni e responsabilità lo gravassero, ma sempre di centrale importanza. Piuttosto che vedere in esso un elemento dispersivo, era riuscito a farne uno stimolo ed un aiuto di maturazione spirituale e pastorale, un’occasione di confronto fondamentale dei suoi studi e di adattamento umano della sua autorità, uno strumento di autentica e intelligente collaborazione con le speranze e i bisogni dei suoi tempi, anche per la preparazione e la formazione di persone cristiane e apostoliche, nel senso più elevato dei più comuni compiti apostolici.

Struttura dell’A.C.

La concezione che Mons. Lanza aveva dell’A.C. è felicemente riassunta in una pagina dattiloscritta reperita tra le sue carte superstiti. Non c’è indicazione di luogo né di data; dal contesto pare però verosimile che essa sia stata stesa intorno al 1945 come appunto di suggerimenti e proposte, evidentemente dietro autorevole richiesta, in merito alla sistemazione giuridica dell’Azione Cattolica forse proprio in vista della revisione degli Statuti. Per la sua densità linearia merita di essere trascritta integralmente:

«Per quanto riguarda la struttura dell’A.C.I. vorrei riassumere quanto mi sembra “communis opinio” di pareri, proposte e discussioni che risalgono ormai a quasi dieci anni. A me sembra che le esigenze siano due: rinnovamento e autorità.

Il rinnovamento vuole novità di criteri e di modi d’azione. Quanto ai criteri d’azione, mi pare di poterli indicare così:

  1. episcopalità, nel senso che alla testa dell’A.C.I. vi sia l’Episcopato italiano in una sua rappresentanza estesa, e che ad esso spetti il potere supremo di direzione;
  2. democraticità, nel senso che ai dirigenti, anche centrali, e anche alla base, spetti la responsabilità esecutiva e che la loro designazione abbia un qualche intervento di fiducia dal basso;
  3. unità, nel senso che l’azione dei cattolici militanti sia coordinata non solo fra le varie organizzazioni di A.C., ma anche con le altre forze dell’apostolato laico.

Quanto ai modi d’azione, si può accennare a:

  1. attrezzature di competenza per gli organi centrali (istituti, centri, segreteria), con mezzi adeguati e personale autorevole;
  2. vocazione selettiva di dirigenti e di militanti, con formazione il più possibile unitaria (Seminari di Azione Cattolica) e con animo di creare gruppi-guida di quadri;
  3. ricchezza di opere, anche al di là delle attuali organizzazioni, avviandole con concetti federativi alla riunione intorno a “centri di apostolato”: ad esempio, quello giovanile, familiare, femminile, culturale, caritativo, catechistico ecc. facenti perno sulle attuali Associazioni (“rami”).

L’autorità, invece, dell’A.C. esige prestigio e potere nel capo, e ciò dipende dalla scelta che se ne farà e dalla larghezza del mandato che gli verrà concesso; ma essa esige, ancor più, funzionalità degli organi a sua disposizione, e ciò dipende non solo dall’energia che egli saprà dare, ma anche dalla situazione che egli troverà al suo arrivo. Questo considerato, mi pare che delle esigenze mi fa passare a quello dei giudizi, che rinvio però ad altra occasione con due importanti capitoli di osservazione, cioè: il giudizio sull’influsso dell’educazione religiosa delle masse giovanili e il giudizio sull’orientamento dell’educazione civica delle masse adulte».

Il significato è troppo trasparente per consentire commenti. Si può solo notare come la concezione dell’A.C. che appare da queste righe non abbia nulla di statico e le strutture di essa siano considerate essenzialmente nel loro dinamismo funzionale.

Funzione dell’A.C.

Questa visione è esplicitamente enunciata nell’introduzione di un altro più ampio scritto; anche questo senza data, ma steso quasi certamente nel 1949; è lo schema di una relazione sull’A.C. tenuta da Mons. Lanza in sede e ambiente qualificati e autorevoli.

«Non posso nascondere un certo imbarazzo che è sorto in me quando mi è stato affidato il tema che devo trattare: l’A.C.; imbarazzo determinato dallo suo stesso ampiezza, in cui non è difficile lasciarsi sommergere, e dalla sua apparente facilità, non priva di… difficoltà, e forse di insidie.

Dopo così numerosi e chiari documenti intorno all’A.C., dopo tanti scritti e tanti studi (e molti dei quali veramente seri ed autorevoli – non a caso si sogliono menzionare per la definizione dell’A.C. in sede di diritto canonico), e per l’esplicita e diretta collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa. Ma quando dal piano di una pura esegesi giuridica di tale definizione, da quella che potrebbe chiamarsi una descrizione fisiologica dell’organo, si discende a considerazioni più concrete e vitali intorno alla sua funzione, allora possono sorgere difficoltà o possono affiorare problemi che esigono una più approfondita analisi di tale funzione.

La quale, se non può non essere guidata dalle considerazioni di natura giuridica intorno all’A.C., serve, a sua volta, a rendere più chiara e più viva la stessa definizione.
Ed è proprio questo l’aspetto particolare sotto cui intendo considerare l’A.C. questa sera: la sua funzione nella vita della Chiesa e, quindi, con uno sguardo, se non più largo, più generale, nella vita umana.
Funzione che, proprio perché tale, dev’essere ugualmente ordinata nella struttura dell’organismo, nella sua composizione e nella sua esplicazione dinamica, nelle peculiari finalità di carattere storico. Quindi: 1) alcune premesse; 2) alcuni princìpi; 3) alcuni rilievi di ordine storico».

Le premesse e i principi

Le premesse riguardanti la «natura giuridica» dell’A.C. come «speciale e diretta collaborazione all’apostolato gerarchico della Chiesa», tendono a metterne in rilievo la «peculiarità», che «non è di ordine quantitativo e materiale, ma di carattere qualitativo e formale». Si distingue l’apostolato di membro, comune ad ogni componente del Corpo Mistico tenuto a vivere il duplice precetto dell’amore verso Dio e del prossimo, dall’apostolato di organo, esercitato per diritto divino dalla famiglia e per istituzione positiva dalle varie associazioni approvate dalla Chiesa, e culminante nell’apostolato gerarchico, essenzialmente intrasferibile ed inalienabile.

«Ma – si aggiunge – la gerarchia può dare un particolare mandato in ordine a quell’apostolato di cui i laici possono essere capaci o sono capaci remotamente per il battesimo. È questa la peculiarità dell’A.C.: che fa sì che sia non di solo grado, ma di ordine diversa dalle altre forme di apostolato; e da cui fondamentalmente derivano le altre peculiarità proprie dell’A.C. (la sua universalità, la sua soprannaturalità, ecc.)».

Questo spiega perché l’A.C. sia collaborazione diretta alla Gerarchia. Ed esige anche una più stretta e a un tempo più ampia dipendenza dalla autorità ecclesiastica, estesa alla «definizione delle sue attività e dei suoi particolari compiti, non solo sul piano generico, ma anche su quello particolare e contingente. Ciò non toglie che all’A.C. in quanto organo esecutivo nell’intera pratica possa esser lasciata, e sia lasciata di fatto, una certa responsabilità di iniziativa, senza di cui la collaborazione non raggiungerebbe il suo scopo nei limiti e nella finalità del mandato».

Le premesse si innestano su alcuni più fondamentali principi che «servono a definire la natura stessa del mandato». Essi sono così schematicamente richiamati:

«1. La necessaria mediazione della Chiesa, gerarchicamente costituita, mediazione voluta positivamente da Cristo – che dice incorporazione alla Chiesa – e quindi necessaria soggezione alla gerarchia per ricevere l’influsso del ministero della Chiesa.

2. Il fine della Chiesa che è la santificazione delle anime e quindi la salvezz1)minio dell’umano come tale (attività cosciente dell’uomo).

3. La santificazione delle anime implica una triplice elevazione: elevazione culturale – elevazione giuridica – elevazione etica.

4. Universalità di tale santificazione, la dove comincia e dove termina il dominio dell’umano come tale (attività cosciente dell’uomo).

5. Senza che per questo ci sia distinzione per classi, ma differenza per attitudini proprie ed indipendenze. Anzi, la distinzione del due poteri si attua – mentre nell’antichità greco-romana si ha l’unificazione di sacerdotium ed imperium, anche quando le persone sono distinte. Bisogna arrivare al IV secolo perché gli imperatori abbiano a rinunziare al titolo di Pontifex maximus.
Bivalenza dell’elemento “temporale”.

6. Tuttavia tale distinzione non può essere concepita come assoluta indipendenza e separazione: proprio se si tiene conto che il fine della santificazione è pur sempre il bonum della persona – che per quanto il bonum temporale abbia una sua dimensione, non può essere mai considerato in maniera pienamente e assolutamente autonoma, senza alcuna considerazione del fine ultimo dell’uomo».

Sono questi i principi premessa che fondano e giustificano la normalità della presenza e dell’azione mediatrice della Chiesa: non solo sul piano della partecipazione mistica alla sua crescita attraverso la santificazione personale, ma anche sul piano della collaborazione pratica alla sua opera apostolica attraverso l’azione associata e coordinata».

È interessante notare come sia posto qua l’accento sulla “santificazione delle anime” come fine ultimo e in fondo unico della Chiesa, e come sia a un tempo affermata la “universalità” quale caratteristica essenziale di tale santificazione.

Interessarsi del “temporale” per la Chiesa, come gerarchia e come fedeli, come comunità e come singoli membri, non può essere quindi considerato eccezione occasionale, o strumento estrinseco, o anche puro mezzo subordinato al fine: è condizione indispensabile perché a questo fine si tenda integralmente ed efficacemente.

Motivo, questo, sempre ricorrente nell’insegnamento di Mons. Lanza e dominante anche nel suo discorso celebrativo del XX dei Patti Lateranensi elaborato nello stesso periodo di queste note sull’A.C., deludendo l’aspettativa parte del pubblico che aveva affollato quella sera dell’11 febbraio 1949 la Sala della Provincia in attesa forse di un discorso politico o apologetico limitato al fatto contingente del trattato e del concordato italiani, l’Ecc.mo relatore aveva allora genialmente orientato la sua trattazione sul piano più ampio, teologico e giuridico, dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra politica e religione; riconducendolo anzi all’ancor più fondamentale problema dei rapporti fra il temporale e lo spirituale, fra il terreno e l’eterno.

«Problema – leggiamo negli appunti di questa conferenza – che ha le sue radici nell’essenza stessa dell’uomo: nel suo profondo dualismo (materia e spirito) e nella sua sostanziale unità – nonché nella sua funzione bifase (se ci è dato esprimerci così): nel suo correre quaggiù, nel tempo, e nel suo continuo affacciarsi e protendersi fuori del tempo: in questo non potersi affacciare se non poggia su concreto, sul temporaneo; e in questo non potersi mai poggiare nel concreto se non protendendosi verso l’Eterno. Esso non può vivere il concreto senza trascenderlo; ma non può trascenderlo senza viverlo».

Ed è proprio qua che si innesta la normalità della partecipazione all’azione mediatrice soprannaturale della Chiesa da parte dei laici ai quali spetta per stato e per professione l’azione diretta sul temporale. Anche prima e indipendentemente dall’aggiunta di una particolare chiamata che affidi specifici compiti religiosi ed esiga determinate strutture organizzative, il laico cristiano, operando sul temporale ed orientandolo direttamente o indirettamente con il proprio essere e con il proprio agire verso il «fine ultimo dell’uomo», contribuisce all’azione santificatrice della Chiesa sia vivendo e testimoniando il messaggio di fronte agli uomini singoli ed alla società, sia cooperando alla consecratio mundi che è insieme santificazione e insieme premessa e conseguenza.

La peculiarità storica dell’A.C:

In che cosa consiste allora la “peculiarità” dell’A.C., su cui Mons. Lanza tanto insisteva? Proseguendo la lettura di queste note sembra chiaro che egli in concreto la riferisca alla forma attuale dell’A.C. «come oggi è, nella sua struttura organizzativa giuridicamente riconosciuta»; e che trovi la giustificazione fondamentale di questa «recente» novità in una diagnosi storica che è al tempo stesso un approfondimento teologico.
Da un lato la tragica insufficienza degli operai della vigna: la gerarchia e i sacerdoti, davanti a «un mondo orgoglioso delle sue conquiste materiali e lontano dalla Chiesa»; dall’altro la capacità di bene insita in questa desolata situazione, nei disegni della provvidenza, che anche dal male trae il bene. La gerarchia chiama i laici ad aiutarla, ma gli uni e gli altri, nella necessità di questa collaborazione imposta dalle circostanze storiche, ritrovano più intensamente quella realtà eterna di grazia che è la Chiesa. L’Azione Cattolica, nata in tormentate circostanze storiche, è una esperienza unica della realtà soprannaturale del Corpo mistico.

I «rilievi storici» che costituiscono la terza parte di questo schema richiamano soprattutto i momenti della storia della Chiesa nel mondo moderno: dall’inserimento della Chiesa nell’ambito più intensamente cristiano dei primi secoli alla graduale ispirazione cristiana del pensiero e della vita anche pubblica operatasi nel medioevo, dalla frattura dell’armonia tra spirituale e temporale tipica dell’età moderna alle negazioni del soprannaturale e del trascendente nel mondo culturale e giuridico-politico contemporaneo. La situazione attuale è in modo frammentario ma efficace così descritta:

«Da questo processo di scristianizzazione che ha penetrato tutto – attraverso alla cultura e al diritto – alla vita dello spirito si è creata una atmosfera di cui non si possono non rilevare alcuni segni (sono tossici che si immettono nel circolo del sangue della Chiesa e ne alterano le funzioni dei vari organi, anche là dove non riescono a produrne la morte).

1. il microbo del naturalismo (dalla soppressione di qualsiasi elemento soprannaturale, all’anemizzazione di alcuni elementi della vita stessa) in cui risiedono ancora forme di umanesimo e di dicotomia;

2. il microbo del razionalismo (dalle forme di ribellione all’autorità soprannaturale – alla tendenza diffusa di ridurre la fede e i dati della rivelazione ai limiti del ragionamento umano), lo sforzo di trovare tutto razionale;

3. il microbo del positivismo giuridico;

4. il microbo della laicità (adopero questo termine in luogo di altri simili: laicismo, laicizzazione); microbo in contrasto proprio con l’organismo della Chiesa (antichiesa e antiecclesialismo), diffesa dall’autorità della Chiesa, non sentirsi di essa parte o almeno interessata (estraneità di vita e di interessi). Non si riconosce la funzione di mediazione della Chiesa: specie per ciò che concerne la sua attività di giurisdizione (strano il fenomeno del sentirsi membro della società civile, non sentirsi membro della Chiesa, tutte le volte che emerge un contrasto tra Chiesa e Stato); E tale offensiva si presenta non in maniera sporadica, ma sotto forme consistenti che si costituiscono in tessuti e intaccano i tessuti. La difficoltà della gerarchia di esplicare la sua funzione di mediazione è un’attivazione e ridotta entro limiti sempre più angusti».

Il «particolare mandato» che in questa situazione la gerarchia affida oggi ai laici costituisce quindi la «peculiarità» dell’A.C. e ne caratterizza la funzione. È tale specifica funzione dell’A.C. e così puntualizzata nella quarta parte ed ultima parte dello schema

1. Opportunità nel mondo moderno di questa nuova formula:

1) per una specie di mediazione strumentale del laicato della vita laica, per ribattezzare tutta la vita;

2) per risvegliare il senso della partecipazione alla vita della Chiesa, dell’interesse ai problemi della Chiesa – il senso dell’ecclesiasticità.

3) Codesta funzione di mediazione per il mandato da cui deriva partecipa necessariamente delle caratteristiche proprie dell’attività della Chiesa (la soprannaturalità di ispirazione e la sua virtuale universalità).
La determinazione concreta appartiene alla Chiesa.

4) La possibilità – il dovere – e il diritto di interessarsi ai problemi della vita politica, nelle stesse maniere – ma non per questo rendere meramente politica la sua azione – o per lasciando le responsabilità a coloro che hanno tale responsabilità.
Come? E quando? Nella misura – che le coscienze delle anime e le esigenze – e le direttive della Chiesa esigono per far sì che abbia a tornare quel senso di convergenza, quella misteriosa “simphonia” che lo spirito moderno ha cercato di eliminare.

L’articolo Maria Mariotti racconta monsignor Lanza: l’Azione Cattolica come vocazione del laicato proviene da Avvenire di Calabria.