La tentazione in cui la Chiesa stessa può cadere è quella di proporre al fedele un percorso in cui prevalgono le indicazioni di tipo etico, a volte aggiungendo qualcosa in più, come portare l’esempio concreto di Gesù, ma tralasciando la presenza e la guida del Figlio di Dio che quel cammino l’ha tracciato, l’ha percorso e ora non solo lo propone ma lo rende anche possibile.
Una differenza grande che la parola di Dio della IV domenica di Pasqua rende quasi stilizzata attraverso le sue letture, passare, infatti, dal «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?», degli Atti degli Apostoli, al «Tu sei con me», del Salmo 23, fino ad arrivare a «Io sono la porta delle pecore» del Vangelo di Giovanni, non è solo un modo per mettere al centro di questo percorso Dio ma anche la giusta modalità per fare entrare l’uomo.
Un percorso che nasce dall’annunzio della buona notizia di ciò che ha fatto Dio per noi: «Sappia con certezza la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso», solo l’amore infinito di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito può trafiggere un cuore umano indurito e portarlo a conversione, una buona notizia che non è una semplice informazione ma un appello continuo. Una chiamata in cui l’esempio di Gesù Cristo è la prima istanza, l’invito al ritorno: «Eravate erranti come pecore, ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime», «Egli da agnello portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia», è diventato pastore e ora ci chiede non solo di imitarlo ma di seguirlo. È il momento di riscoprire la sua figura di guida e il nostro cammino di sequela che la Bibbia, e in modo particolare il Vangelo, sintetizzano in modo stupendo nella similitudine che prefigura una verità didattica, del «mio pastore» o del «buon pastore». Questa figura è presentata dal salmista in modo esemplare tanto che Bergson afferma: «Le centinaia di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e tanto conforto quanto questi versi del salmo 23», il salmo è l’esplicitazione della frase iniziale «Il Signore è il mio pastore non manco di nulla». Le frasi che seguono sono così semplici che si possono insidiare senza difficoltà nella nostra memoria. È facile, infatti, vedere il pastore, la valle di morte, la tavola imbandita. Nonostante la «valle oscura e i nemici» uno sguardo di piena felicità passa attraverso la vita perché «Tu sei con me».
Di questa presenza ci parla il vangelo di Giovanni quando presenta Gesù come «L’io sono», in cui il «io sono qui» di Esodo 3,14 diventa «io sono il pane della vita», «Io sono la luce del mondo», «io sono la porta delle pecore», «io sono il buon pastore».
A quell’”Io” che in pochi versetti, Giovanni ripete per bene tre volte, è affidato il cammino del mio io. «Il brano ci insegna come diventare pecore di questo pastore» perché prima di ogni cosa ci ha insegnato come Gesù è diventato pastore di «queste pecore». C’è una verità fondamentale da cui non possiamo prescindere e che Gesù ripete più volte: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale per un’altra parte, è in ladro e un brigante.
Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore», è chiaro che qui Gesù sta parlando del dono della sua vita che gli permette di accedere al recinto, «il buon pastore dà la propria vita per le pecore», è la porta della croce che permette a Gesù di condurre l’uomo fuori dal recinto del mondo, «perché l’agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore» (Apocalisse 7,17), ed è la voce del suo sangue, poiché egli è morto per ognuno di noi, che le pecore riconoscono e seguono, in un cammino che conduce necessariamente ad un’altra porta, la prima porta trasformata dal sacrificio di Cristo morto è risorto, dal suo potere di offrire spontaneamente sua vita e di riprenderla. È la porta che le pecore devono attraversare, entrare ed uscire, per trovare pascolo, quel pascolo che nella seconda parte del salmo era diventato mensa preparata, casa da abitare, compagnia di felicità e grazia, è la porta aperta che ci permette di partecipare alla comunione con Dio. Questa porta non è più la porta della croce ma del crocifisso risorto, perché lui è venuto perché le sue pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.