La Trinità non è un enigma, ma amore sconfinato

Se oggi siamo chiamati a riflettere su una delle verità fondamentali della nostra fede, non è per scervellarci, arrovellandoci il cervello per capire come tre possano essere uno e come uno possa essere tre contemporaneamente.

Non è con le operazioni matematiche che ci possiamo accostare al mistero della Trinità, ma solo facendoci illuminare dalla Parola di Dio, che ci fa comprendere la logica di Dio, essenzialmente fondata sull’amore e sulla misericordia. “Il Dio della Bibbia non è una sorta di monade chiusa in sé stessa, soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che vuole comunicarsi ed è apertura relazionale” (Benedetto XVI). Se ci lasciamo sfuggire questo principio di fede fondamentale, ogni ambito e azione della vita del cristiano e della Chiesa fallisce, non ha senso d’esistere. Da qui il senso vero del nostro credere nell’unico Dio che si è manifestato a noi come amore ineguagliabile e irraggiungibile. Un amore così grande che non poteva bastare una sola persona per esprimerlo, ma erano necessarie tre persone, a indicare pienezza, perfezione, completezza. Il Dio dei cristiani è allora il Dio tre volte santo, Santo il Padre che ci ha creati, Santo il Figlio che ci ha redenti, Santo lo Spirito che ci santifica.
Il vangelo inizia riportando il discorso tra Gesù e Nicodemo. ll maestro si intrattiene con chi si pone alla ricerca della verità, con il suo bagaglio di dubbi e incertezze, ma anche di sapienza e intelligenza. Siamo davanti alla prima forma di dialogo tra scienza e fede, uno dei cavalli di battaglia dell’impegno culturale della Chiesa cattolica specialmente dopo il Concilio Vaticano II, a partire dalla famosa costituzione Gaudium et spes, ai diversi documenti del magistero pontificio sull’argomento, uno per tutti la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II. Gesù con estrema semplicità porta Nicodemo sul tema che più gli è caro e connaturale, quello dell’amore: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Si parla allora di amore, ma non quello umano e terreno, bensì quello vero, reale, concreto, quello di Dio, che si fonda su una prova inconfutabile, il fatto che Egli “non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Come non leggere in questo gesto gratuito, in questa libera scelta, in questo disegno, la volontà di Dio che vuole la salvezza dei suoi “amati” figli? Chi ama vuole la salvezza dell’altro e, nonostante l’altro forse non la meriti, l’amante vuole ad ogni costo il bene dell’amato e per questo ricorre ad ogni forma di sforzo e sacrificio pur di dimostrarlo.
La solennità della Trinità allora viene ogni anno per ricordarci questa logica d’amore, che non giudica, non biasima, non condanna, ma assolve. perdona e salva, invitandoci ad adottarla come stile di vita. Dobbiamo infatti riconoscere che in quanto cristiani forse siamo diventati anche bravi a parlare dell’amore e trattare della misericordia di Dio, ma che fatica facciamo a vivere questo che in fondo è l’unico essenziale comandamento che Gesù ci ha lasciato, l’unico programma di vita da seguire. “La Vergine Maria dimora della trinità ci aiuti ad accoglier con cuore aperto l’amore di Dio che ci riempie di gioia e fa senso al nostro cammino in questo mondo” (Francesco).

Monsignor Giacomo D'Anna

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