«Prima ero cieco e ora ci vedo», il miracolo della fede

Se domenica scorsa con il vangelo della samaritana l’elemento essenziale era l’acqua, in questa quarta domenica di quaresima è la luce. Acqua e luce sono simboli del nostro battesimo, che ci ha resi figli di Dio e fratelli di Cristo e che non finiremo mai di riscoprire e di vivere adeguatamente.

Giovanni nel vangelo di oggi insiste molto sull’importanza della nostra fede come riscoperta del senso profondo della vita e segreto della vera felicità. È stato così per la donna del pozzo di Sicar, ed è così per il mendicante nato cieco. Entrambi manifestano un profondo bisogno, una grande sete di amore, ed entrambi mostrano che con un percorso di fede profondo è possibile raggiungere la verità e superare anche le più complicate situazioni di limite e sofferenza. Nella lunga pagina del vangelo di oggi non mancano molteplici spunti di riflessione e significative indicazioni spirituali. Ne invidiamo alcuni. Il primo è il fatto che il miracolo avviene mentre Gesù sta passando: questo suo incedere non è privo di attenzione verso chi sta ai margini della strada ed è profondamento piagato nel corpo e nello spirito. Passa ma non in modo distratto e indifferente, passa e vede, passa e si accorge. Non possiamo non pensare invece al nostro modo di passare spesso di corsa, e a volte non solo non attento ma anche insensibile: vediamo e acceleriamo il passo per non vedere il male o peggio per non vedere la sofferenza e le necessità dei fratelli.
Era un mendicante. Uno conosciuto da tutti, uno noto a tutti per la sua povertà e miseria, un “morto di fame”, un poveraccio come tanti, uno verso il quale, con tutta la buona volontà, non si può fare nulla, inutile pensare di poter risolvere il suo problema, si perde solo tempo, per di più è in quello stato di disabilità da sempre, dalla nascita. E forse anche lui si era convinto di questo, tant’è che stranamente non chiede nulla, non supplica di essere guarito, ma è Gesù che prende l’iniziativa e decide di fare qualcosa per lui. Nessun discorso, nessuna spiegazione, ma solo una parola: “Va a lavarti nella piscina di Siloe”. Ci colpisce l’immediatezza con cui quel cieco obbedisce al comando di Gesù e, senza alcuna esitazione, si alza e va, si fida di Lui. “Andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.
Segue nel racconto evangelico come un lungo processo dei giudei presenti e dei farisei contro il cieco guarito, che vorrebbero ad ogni costo proibire di riconoscere la vera identità del guaritore e impedire di professare la sua fede in Lui. Ma quell’uomo non ha dubbi, non si perde dietro a elucubrazioni mentali, si preoccupa di affermare con determinazione la sua unica certezza: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora ci vedo”. Anche qui potrebbe essere utile riflettere sul nostro modo di credere, che certamente non può e non deve essere un semplice assenso del nostro sentimento (fideismo), ma non può essere neanche una disperata ricerca delle spiegazioni più cervellotiche della mente (razionalismo). È sempre allora utile ricordare quanto insegnato dal grande san Tommaso: “La fede ha bisogno della ragione, ma la ragione ha bisogno anche della fede”.
È l’incontro con Gesù che segna una svolta decisiva e determinante non solo per il problema fisico di quell’uomo, ma per tutta la sua vita. Anche qui, come per la samaritana, c’è un percorso di fede alquanto intenso che gli permette di fare un salto di qualità sostanziale e un eccezionale passaggio dal concreto e materiale (l’acqua per la donna, la vista per il cieco) a qualcosa di spirituale ed eterno, tant’è che alla fine segnerà una svolta definitiva per entrambi: per la prima, non più acqua semplicemente utile a soddisfare la sete fisica, ma “acqua viva che zampilla per la vita eterna”; per il secondo, non più il recupere uno dei sensi più preziosi della vita, la vista, ma la capacità di vedere oltre le cose terrene, la vista del cuore che permette di contemplare, già nel presente, il vero volto di Dio, nell’attesa del visione eterna nel cielo.
Il Vangelo si conclude con una domanda precisa da parte di Gesù: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”, e con una risposta altrettanto determinata da parte del cieco: “Credo Signore!”. Oggi è a noi, sempre più assetati d’amore e ciechi davanti alla verità, che viene rivolta la stessa domanda. Sia la nostra risposta come quella del cieco finalmente guarito: riusciremo così a soddisfare una volta per tutte anche la nostra sete più profonda e a vincere la nostra cecità davanti all’infinito amore di Dio per noi.

Monsignor Giacomo D'Anna

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