Un progetto che mette in dialogo arte contemporanea, educazione e dignità delle persone private della libertà. È stato presentato oggi in Sala Stampa della Santa Sede “Le Porte della Speranza”, iniziativa promossa dalla Fondazione Pontificia Gravissimum Educationis del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che prevede la realizzazione di Porte artistiche pensate insieme alle comunità carcerarie e installate in istituti penitenziari in Italia e nel mondo. Al tavolo: il card. José Tolentino de Mendonça (presidente della Fondazione e prefetto del Dicastero), Stefano Carmine De Michele (capo DAP – Ministero della Giustizia), mons. Davide Milani (segretario generale della Fondazione) e il prof. Davide Rampello (curatore del progetto). Collegati da remoto Rita Júdice, ministra della Giustizia del Portogallo, e Giovanni Azzone, presidente di Fondazione Cariplo.
Dietro le sbarre, una porta si apre
È l’orizzonte concreto dischiuso oggi in Sala Stampa vaticana con la presentazione di “Le Porte della Speranza”, progetto internazionale della Fondazione Pontificia Gravissimum Educationis del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. L’idea nasce dal segno giubilare dell’apertura della Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia e si traduce in opere-ponte ideate con i detenuti e installate davanti agli istituti penitenziari. Tra le città coinvolte c’è anche Reggio Calabria: per la comunità reggina è una notizia attesa, perché la “porta” sarà affidata all’astrofisica Ersilia Vaudo, chiamata a progettare – insieme a detenuti e operatori – un varco di bellezza e responsabilità che parli alla città intera.
Il significato ecclesiale e civile del progetto
Il cardinale José Tolentino de Mendonça ha indicato con chiarezza il respiro ecclesiale e civile dell’iniziativa. La Chiesa, ha detto, sente come propria la missione di andare incontro a chi vive la detenzione, annunciando il Vangelo della speranza e traducendolo in un cammino pedagogico e accessibile. Il ricordo del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia ha offerto un precedente eloquente: per le persone detenute quell’esperienza è stata scoperta di competenze e dignità; per migliaia di visitatori, primo contatto con il carcere e scossa di coscienza; per l’opinione pubblica, un segno dal valore spirituale e culturale non effimero. «La speranza non morirà nella misura in cui tutti ci faremo suoi custodi e messaggeri», ha rimarcato il prefetto del Dicastero.
Il contributo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria
Dal versante istituzionale è arrivato l’impegno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il presidente Stefano Carmine De Michele ha definito il progetto «molto più di un’iniziativa artistica: è un cammino» che attraversa simbolicamente le mura con dialogo, ascolto e rispetto della dignità. In coerenza con l’articolo 27 della Costituzione, ha aggiunto, la finalità rieducativa chiede percorsi in cui la sofferenza diventi espressione e creatività condivisa. Per questo le opere non resteranno confinate all’interno: saranno collocate all’esterno degli istituti, visibili e fruibili dalla cittadinanza, vere soglie tra passato ed esodo, tra errore e cambiamento, tra isolamento e ritorno alla comunità.
Il valore simbolico della porta
Il segretario generale della Fondazione, mons. Davide Milani, ha sostato sul simbolo. La porta, ha ricordato, non è tanto un arredo quanto un dinamismo: introduce, custodisce, mette in movimento. Nel Vangelo di Giovanni, «Io sono la porta» apre alla salvezza, all’andare e venire che riconsegna pascolo e libertà. Così queste porte non sono abbellimenti, ma semi e lievito: piccoli in apparenza, capaci di attivare processi. L’obiettivo non è solo la forma architettonica, ma le relazioni formative tra interpreti e comunità carcerarie, e un incontro nuovo tra la città e il carcere, perché questi luoghi smettano di essere periferie invisibili e tornino al centro della preoccupazione sociale, educativa e pastorale. Le porte sono pensate come aperte in entrambe le direzioni: il transito della bellezza dalla comunità carceraria alla società e viceversa.
Il lavoro creativo e le opere in Italia e in Portogallo
Il curatore Davide Rampello ha raccontato dieci mesi di lavoro paziente, la scelta di una “bottega contemporanea” sul modello rinascimentale e l’allargamento degli interpreti oltre i confini dell’arte in senso stretto: scienziati, uomini e donne di teatro, di cultura, di impresa, accanto ad artigiani, incisori, illustratori chiamati a rendere concrete le visioni. Una regola accomuna tutte le opere: utilizzare i tre materiali che richiamano la Croce – legno, metallo e pietra – da soli o combinati. Otto le sedi italiane e due le portoghesi. In Italia, Venezia vedrà all’opera Mario Martone; Milano, davanti al carcere di San Vittore in piazza Filangieri, ospiterà la porta firmata da Michele De Lucchi, in legno di cedro del Libano con la collaborazione di Maurizio Riva; Roma sarà affidata a Gianni Dessì; Napoli a Mimmo Paladino; Lecce a Fabio Novembre, che lavorerà la pietra leccese grazie alla disponibilità della cava di Valerio Bianco; Reggio Calabria a Ersilia Vaudo; Palermo a Massimo Bottura; Brescia a Stefano Boeri. Due installazioni – Milano e Lecce – saranno completate entro dicembre, a chiusura dell’Anno Giubilare. A supporto tecnico interverrà lo studio Maurizio Milan per le certificazioni ingegneristiche, mentre l’identità visiva porta la firma di Studio FM. A raccontare tutto, un film diretto da Carrieri e un volume che seguiranno dialoghi e cantieri, perché – ha sottolineato Rampello – il progetto vuole alimentare un’opinione pubblica più consapevole, non solo consegnare opere.
La partecipazione del Portogallo e il respiro internazionale
Il respiro internazionale si è concretizzato con la partecipazione, da remoto, della ministra della Giustizia del Portogallo, Rita Júdice. L’adesione di Lisbona, ha spiegato, nasce dalla convinzione che l’arte faccia crescere il desiderio di giustizia e si associ alla speranza e alla riconciliazione. In Portogallo sono già in corso due residenze: a Leiria, con l’artista Elídio Canda e i giovani detenuti, per un’opera permanente e un secondo lavoro destinato a un’istituzione universitaria; a Tires, con Fernanda Fragateiro, per umanizzare gli spazi dove vivono le madri recluse con i figli piccoli. I primi risultati saranno presentati il 28 novembre. A sostenere la rete figurano Fundação Jornada, Zet Gallery e la Direção-Geral de Reinserção e Serviços Prisionais.
Il sostegno della Fondazione Cariplo e la dimensione sociale
Dal mondo filantropico è giunto l’accompagnamento di Fondazione Cariplo. Il presidente Giovanni Azzone ha parlato di una coerenza profonda con la missione di rafforzare le comunità perché siano più inclusive e capaci di accogliere la fragilità. Ha ricordato come i percorsi formativi e di avvio al lavoro riducano drasticamente la recidiva e ha annunciato l’intenzione di promuovere, nei prossimi anni, un programma dedicato con risorse iniziali dell’ordine di venti milioni di euro, aperto alla collaborazione di altri soggetti.
Reggio Calabria, una porta che parla alla città
Per Reggio Calabria il progetto assume un significato particolare. La porta che nascerà dal confronto tra Ersilia Vaudo e la comunità penitenziaria potrà diventare un segno capace di parlare al territorio, di tessere nuove alleanze educative, di superare stereotipi e diffidenze. L’arte che ascolta il dolore e lo trasfigura in responsabilità comune è già una forma di cittadinanza; collocare la porta all’esterno dell’istituto significa ricordare ogni giorno che il carcere non è un altrove senza volto, ma parte della città. È la direzione indicata dal DAP, è l’orizzonte pastorale richiamato dal Dicastero, è la via educativa su cui la Fondazione Gravissimum Educationis invita a camminare.
Una soglia che unisce e genera speranza
Alla fine resta l’immagine che dà il titolo al progetto: una soglia. La attraversano i detenuti e le loro famiglie, la attraversano gli agenti e i volontari, la attraversa la città quando decide di farsi comunità. Due porte saranno pronte entro dicembre; altre seguiranno nei mesi successivi. Ma la misura del successo non sarà soltanto l’inaugurazione di opere. Sarà, come ha detto il cardinale Tolentino, la scelta di farsi tutti custodi e messaggeri di speranza. Perché una porta si apre davvero quando c’è qualcuno che attende dall’altra parte.
L’articolo Dal Vaticano a Reggio Calabria, sarà aperta una porta della speranza in carcere proviene da Avvenire di Calabria.















